giovedì 24 marzo 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot




Titolo originale: Lo chiamavano Jeeg Robot
Paese: Italia
Anno: 2016
Regia: Gabriele Mainetti
Cast: Claudio Stantamaria, Luca Marinelli, Ilena Pastorello, Stefano Ambrogi
Genere: Azione, fantascienza, drammatico


Ed eccomi di nuovo su questi lidi e, come promesso, ecco a voi, cari lettori, la recensione di “The hateful Robot”, pardon, di “Lo chiamavano Jeeg Robot”!!

Lo so, lo so, le promesse vanno mantenute ma a causa di una lunga gestazione la recensione di “The hateful Eight”, ultimo capolavoro del nostro divoratore di VHS preferito, ha richiesto più tempo del previsto (sì, credici!) e dunque… E dunque la verità è che sono andato a vedere uno degli ultimissimi giorni in cui era in programmazione “Lo chiamavano Jeeg Robot”, ne sono rimasto talmente rapito/colpito che ho deciso da dargli la precedenza rispetto a qualunque altro film!

Partendo da una premessa rapida rapida vorrei spiegare perché “Lo chiamavano Jeeg Robot” (che da ora in avanti chiameremo amichevolmente “Jeeg Robot”) rappresenta qualcosa di completamente nuovo e diverso nello stantio panorama cinematografico italiano. L’idea di fare un cinecomic completamente italiano era già balenata un paio d’anni fa a Gabriele Salvatores con il suo “Il ragazzo invisibile” ma, ahimè, con risultati abbastanza disastrosi di critica e pubblico e rappresentava la diretta trasposizione di un cinecomic all’americana in chiave italiana senza mai prendere una strada realmente personale. “Lo chiamavano Jeeg Robot”, invece, riesce proprio dove il film di Salvatores peccava d’ingenuità o crollava clamorosamente.

Il film è diretto da Gabriele Mainetti, relativamente giovane regista italiano che si è fatto conoscere con il corto “Basette”, divertente gangster story che cita e parodia i topoi della serie animata di Lupin III e poi con “Tiger Boy” (potete recuperarli entrambi su Youtube) e con questo “Jeeg Robot” non fa altro che estendere i concetti già trattati nei corti precedenti, portandoli ad un altro livello e riprendendo un certo tipo di estetica anni ’80.

Precisiamo per i distratti dell’ultima ora che il cartone animato di Go Nagai (mostro sacro creatore del manga Devilman, cruda e spietata analisi sulla natura malvagia, meschina e guerrafondaia dell’uomo, sul razzismo e sul controllo e la manipolazione delle masse) non c’entra proprio una cippa con la storia che viene narrata su schermo ma serve solo come pretesto e allegoria che verrà poi ripresa più volte per meglio comprendere la psicologia di un personaggio cardine della pellicola. 

Partiamo come sempre dai personaggi: il nostro protagonista, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria, ve la ricordate la vociona del Batman di Nolan? Beh, è la sua!), rappresenta la sublimazione del concetto di “anti-eroe” e, sin dall’inizio della pellicola, ci viene mostrato come un personaggio abietto, miserabile, pigro ed estremamente misantropo anche se non riusciamo a inquadrarlo come un personaggio completamente negativo e un fondo di bontà e giustizia lo si intravede sotto la corazza di apatia che si è costruito. 

Il nostro (anti)eroe in una delle scene più romantiche del film

A scalfire questa corazza ci penserà il personaggio interpretato da Ilenia Pastorelli, Alessia, la quale sarà il vero motore delle azioni del nostro anti-eroe ed è sempre lei ad essere il principale collegamento al mondo di “Jeeg Robot d’acciaio”, infatti a causa di traumi infantili (e una tematica in particolare come quella dell’abuso su minori qui affrontata con estrema delicatezza) Alessia si è creata un mondo fittizio in cui idealizza le varie persone e i diversi problemi della vita con i personaggi e le situazioni che avvengono nel cartone di Jeeg Robot e sarà sempre lei a identificare Enzo come Hiroshi Shiba, l’eroe della serie. Alessia rappresenta inoltre l’innocenza, l’ingenuità e quella voglia di emozionarsi per un nonnulla tipiche di una bambina che si contrappongono alla piena bellezza e sensualità di una donna adulta.

Una delle scene più toccanti che suggella il rapporto tra Enzo e Alessia


Infine c’è lui, Luca Marinelli, giovane attore già interprete de “La solitudine dei numeri primi” e “Non essere cattivo” (capolavoro di Caligari, guardatelo!!) e la sua maestosa interpretazione svetta su tutti: il villain che interpreta, lo “Zingaro”, rappresenta qualcosa di fenomenale, un pazzo anarchico a là Joker che surclassa qualsiasi villain partorito su grande schermo da Marvel & soci!

Ha inoltre una serie di fissazioni, particolarità ed elementi ricorrenti (questo vale anche per gli altri personaggi) che rendono la sua caratterizzazione a dir poco fantastica, ha inoltre una spasmodica voglia di “sfondare”, di arrivare a tutti i costi perché è convinto di essere speciale e di dover ricevere un rispetto che non gli è mai stato concesso nella vita. Il fatto appunto di essere così frustrato e l’odio che prova verso il posto in cui vive e le persone che lo circondano, lo rende ancora più schizofrenico e pericoloso.

Va inoltre precisato che Enzo e lo Zingaro sono due personaggi complementari e speculari come Batman e Joker; entrambi sono due disgraziati che cercano di tirare avanti con tutti gli espedienti possibili ma hanno una visione della vita completamente diversa, Enzo commette piccoli crimini perché è la sua unica possibilità di vita e per lui è prettamente una questione di sopravvivenza, lo Zingaro, invece, ha un complesso di inferiorità nei confronti della società a dir poco incredibile, lui vorrebbe arrivare in qualunque modo e in qualunque campo e, per fare ciò è disposto a qualsiasi efferatezza e ad essere il più intransigente possibile anche nei confronti dei suoi amici.


Qual è la prima cosa che faresti con dei superpoteri? Svaligiare un bancomat, ovviamente!

Passando ora ad un’analisi più generale e strutturale del film possiamo notare come la pellicola si ispiri molto alle ambientazioni di stampo “crime” che negli ultimi anni hanno caratterizzato serie made in Italy come “Gomorra” o “Romanzo Criminale”.


E da queste ultime riprende anche un certo stile e una fotografia dai toni cupi e dark; anche le musiche sono sensazionali (composte dallo stesso Gabriele Mainetti), a volte sembra si ispirino ai suoni bassi e profondi tipici delle colonne sonore di Hans Zimmer ed usate in film come “Inception” o, per rimanere in campo supereroistico, “Il cavaliere oscuro”, altre volte vi è un ricco mash-up di brani pop anni ’80 (e il bravo Marinelli si prende la briga di fare la cover di “Un’emozione da poco” di Anna Oxa generando la prima scena cult del film) e la ciliegina sulla torta ce la regala Claudio Santamaria reinterpretando le note della sigla di “Jeeg Robot d’acciaio” mentre scorrono i titoli di coda.





C'è anche spazio per i feels..



Per quanto riguarda la regia, essa è ottima, curata in ogni minimo dettaglio, a tratti frenetica ma non ci fa perdere neanche un fotogramma nelle scene più concitate e d’azione, gli effetti speciali, unico aspetto che mi faceva titubare e avrebbero potuto rappresentare il tallone d’Achille della pellicola, risultano ben dosati e, soprattutto, ben fatti nonostante il budget limitato della pellicola e funzionali allo svolgersi della trama, i poteri del/i personaggio/i (non vorrei fare spoiler con il plurale) vengono mostrati limitatamente ma questa la reputo una scelta ottimale visto i temi trattati e l’ambientazione da criminali di borgata, sposandosi egregiamente con una certa veridicità del contesto sociale che si voleva ottenere.

Il nostro Enzo Ceccotti, inoltre, riceve i suoi poteri nella maniera più classica possibile come vuole la tradizione supereroistica americana anni ’60, cioè entrando in contatto con del materiale radiattivo (Daredevil docet).


Cercando di tirare le somme “Lo chiamavano Jeeg Robot” è un film che presenta una classica storia di origini, condita con dialoghi fenomenali, scene cult come se piovessero, una certa crudezza e violenza che i film Marvel si possono solo sognare ma al tempo stesso si fa carico di un sottotesto ricco e sfaccettato, pone l’accento su svariate tematiche, dall’abuso su minori alla piccola criminalità, dal degrado delle periferie urbane all' emarginazione sociale e umana vissuta dai molti “invisibili” che popolano le nostre città, dalla presenza asfissiante e logorante dei “social” e di un certo tipo di tecnologia nelle nostre vite allo spasmodico bisogno di “sentirsi arrivati” e pienamente soddisfatti solo attraverso un riconoscimento che deve essere pubblico e di massa, e si fa portatore di un’esigenza di rinnovamento delle idee e del modo di narrare le storie e fare cinema che non può che far bene alla decadente industria cinematografica del Bel Paese. 

Detto ciò, il mio consiglio spassionato è di supportare il più possibile questa pellicola!

Non lasciatevi bloccare dal pregiudizio o dall’utilizzo del vernacolo tipico della provincia romana che va solo ad aumentare il realismo della storia narrata e, se volete vedere qualcosa di veramente nuovo e diverso e non la solita e squallida commediola italiana fatta di corna, tradimenti e battibecchi familiari, condita con i patemi del borghesuccio di mezza età che si sente un po’ fallito, allora andate a vedere o a recuperare in qualche modo questo film e non ve ne pentirete!

Voto: 8

Curiosità: lo stesso Luca Marinelli ha affermato di essersi ispirato, oltre che al Joker fumettistico e a un personaggio minore de “Il silenzio degli Innocenti”, a Zanardi detto “Zanna” di Andrea Pazienza, uno dei più grandi fumettisti italiani che abbiamo mai avuto e Zanna, uno dei suoi personaggi più celebri, era il perfetto nichilista, un personaggio che sceglie il male e la violenza perché gli piace e perché pensa che nulla abbia senso e questo sia il modo migliore di esprimere la propria natura. Da brividi!


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