sabato 30 giugno 2012

Rain Man - L'uomo della piogga




Titolo originale: Rain Man
Paese: USA

Anno: 1988

Regia:  Barry Levinson

Cast: Dustin Hoffman, Tom Cruise, Valeria Golino

Genere:  Drammatico, pianti assicurati anche per i più duri e insensibili

Ebbene sì, gli esami non mi danno tregua.

Adesso uno non può neanche allestire un blog che tutti sono con il fiato sul collo; una vera seccatura.

Va beh, lasciando stare le mie fisime da studente universitario, se avete letto la mia autobiografia all'osso qui sapete benissimo di cosa sto parlando.

Nella descrizione ho citato inoltre questo film e il mio subconscio mi ha fatto notare come io non l' abbia più visto da forse un paio d'anni; per cui ho ritenuto fosse giusto rispolverare il vecchio lettore di cassette e riguardarmelo per recensirlo a dovere

Sarò durato al massimo 10 minuti; poi ho iniziato a ricordare per filo e per segno tutte le scene, da quelle normali a quelle più toccanti e le emozioni hanno preso il sopravvento

Ma cerchiamo di andare con ordine:

Charlie Babbitt (Cruise) è un venditore di auto sportive pieno di debiti; egli è (senza giri di parole) uno stronzo che pensa solo ai soldi e al successo. Alla morte del padre, egli scopre che colui che otterrà l'intera eredità sarà il fratello maggiore Raymond (Hoffman), ricoverato in una clinica privata in quanto affetto da autismo.
Charlie deciderà di prelevare suo fratello per farsi riconoscere suo tutore nella speranza di ottenere una parte dell'eridità; ma egli inizierà un viaggio, in cui avrà modo di conoscere meglio colui che nella sua infanzia è stato solo un vago ricordo.


Ci sono tantissimi punti di partenza per descrivere questo film e sarebbero tutti validi; il mio personale punto, che è sia di inizio che finale, è racchiuso in una espressione, che per me è sempre una "pugnalata al cuore"

Lo sguardo di Dustin Hoffman

No dai...ti prego...basta...mi stai uccidendo l'anima cazzo!!!!
No dai...ti prego...basta...mi stai uccidendo cazzo!


Non ci posso fare niente: a 22 anni suonati, dopo aver visto questo film centinaia di volte, le emozioni ( commozione, malinconia, tenerezza) mi prendono per tutta la durata di qualsivoglia scena, nessuna esclusa.
Dustin Hoffman ha superato sè stesso, non c'è altro da dire: si è adattato perfettamente e magistralmente nel ruolo, meritandosi un Oscar senza indugio alcuno.

Bellissima anche la storia del viaggio, in cui anche uno stronzo come il fratello Charlie riesce a conoscere il fratello nonostante all'inizio fosse mosso dall'odio e dall'invidia; per intenderci, richiama vagamente la storia dell' Ulysses di James Joyce, quella dove l'animo umano inizialmente parte in un modo e arriva al traguardo totalmente diverso.

Vedete, mentre io sto scrivendo questa recensione, faccio molta fatica a elencare i particolari, in quanto non ce ne siano!
Semplicità genuina, una trama lineare, musiche esotiche costruiscono un capolavoro di emozioni unico nel suo genere

Io vorrei descrivere questo film come un inno alla visione del mondo con gli occhi di un bambino: Ray sarà anche malato, ma ispira tenerezza, smuove l'animo in quanto ti senti in dovere di poter fare del tuo meglio; io ho voluto dire la mia con questa recensione, ed è qui che termino il mio viaggio.

Voto: 10

NB: Per tutti coloro che ritengono queste mie frasi siano solo per eccesso di emotività personale, consiglio vivamente di leggere la storia di Kim Peek ; ciò può far capire come, spesso, non tutto ciò che il mondo che noi vediamo su uno schermo, sia così diverso da quello reale

venerdì 29 giugno 2012

Laputa - Il Castello nel Cielo


Titolo originale: 天空の城ラピュタ (Tenkū no Shiro Rapyuta)
Paese: Giappone
Anno: 1986
Regia: Hayao Miyazaki
Cast: Keiko Yokozawa, Mayumi Tanaka, Kotoe Hatsui, Minori Terada
Genere: fantastico, avventura, animazione

Piacciano o non piacciano le sue opere, di una cosa possiamo stare certi: Hayao Miyazaki è stato per l’animazione giapponese, a livello visivo e stilistico, ciò che Fritz Lang è stato per la fantascienza come genere cinematografico (e forse lo è ancora, benché l’iconografia del disegno animato nipponico abbia recentemente cominciato a soffrire di spiccate ridondanze). Ha esplorato territori nuovi, ha partorito i personaggi più impensabili, ha portato al successo una maniera romantico-avventurosa di intendere il plot che tuttora si riflette in ogni aspetto della pop culture del Sol Levante.

Effettivamente, agli occhi dell’uomo del 2000, o meglio ancora, a quelli dell’otaku contemporaneo drogato di tutto ciò che proviene dall’estremo oriente e fa rima con pop, i primi film dello Studio Ghibli possono piacere, sì, ma nel senso spiccio della parola, nel senso che non graffiano fino in fondo. Un piacere, cioè, che non va al di là del divertissement trasognato e palpitante che cerca di norma lo spettatore adulto medio di pellicole animate.

Certo, c’è l’attenzione maniacale del dettaglio, a ogni singolo gesto delle figure che si muovono in sontuosi quanto vivaci scenari, così piene di vita perché naturali nei loro movimenti (e qui va fatto un applauso agli animatori). Ci sono momenti in cui Miyazaki, in barba a coloro che ricercano solo il mero spasso, si concede qualche momento di raffinatissimo cinema, puntando sulla visionarietà e sulla contemplazione (complice anche una colonna sonora emotiva e onirica al tempo stesso, tutta realizzata al sintetizzatore). Il cinema del maestro nipponico, sin dai suoi albori, ha sempre un “qualcosa in più”, non si accontenta di una banale intreccio ben costruito. Ma il pubblico contemporaneo, tutto sommato, non sembra rimanerne impressionato più di tanto.

Per poter comprendere appieni i primi film di Miyazaki-san, è necessario allora fare un passo indietro, ritornare ai favolosi (?) anni ’80, calarsi nei panni di quello che poteva essere un estimatore del cinema animato dell’epoca. Allora capisci tante cose. Capisci che, se non fosse stato per film come “Nausicaa della valle del vento” o “Principessa Mononoke”, i tuoi miti dell’infanzia e (ma sì!) anche dell’adolescenza non sarebbero stati gli stessi. O peggio, non ci sarebbero mai stati.

Vendesi enorme castello sospeso nel cielo. Ottima vista, smodato numero di stanze. Telefonare ore pasti. Astenersi perditempo e persone affette da vertigini.

“Laputa – il castello nel cielo” ben si presta a questo discorso: storia avvincente, ambientazione credibile (c’è un po’ di Jules Verne e un po’ di Indiana Jones), personaggi resi in modo magistrale, azione a profusione. Fin qui sembra tutto molto scontato, già ci sembra di immaginare il classico film che nelle recensioni vediamo bollato come “un film per tutta la famiglia”. E invece no. Perché magari il film avrebbe funzionato lo stesso senza un ambientazione fantasy. Miyazaki, invece, opta per l’universo parallelo (steampunk in questo caso, pittoresco quanto affascinante, trasognato e pregno di ascendenze ottocentesche), si sbizzarrisce a dare forma all’inusitato, all’incredibile. E ci riesce. Con una semplicità e una schiettezza da lasciare commossi.

Ci vorrebbe un post a parte solo per parlare di tutte quelle interconnessioni metalinguistiche che percorrono l’arte contemporanea e che trovano le loro radici nell’universo immaginifico del maestro di Tokyo. Ve ne elencheremo alcune, giusto per farvi capire la portata rivoluzionaria che potevano avere all’epoca dell’uscita del film, quando cioè marmocchi simil-bambolotti e robottoni spacca tutto tenevano banco: uno dei due protagonisti, Pazu, giovane minatore, ha le stesse fattezze di Conan, altro personaggio ben noto dell’universo Miyazakiano, e personaggio principale di un anime cult di tutto rispetto. La storia di due ragazzi che partono alla ricerca di un favoloso tesoro e di una civiltà perduta, con addosso militari e pirati, è il leitmotiv dal quale trarrà le mosse un’altra memorabile serie animata, nota in Italia come “Nadia – Il mistero della pietra azzurra” (e che a sua volta contiene tutta una sfilza di robot il cui design sarà poi riciclato per un certo Neon Genesis Evangelion).

Nell’immagine di Sheeta fra i pascoli ci sembra di scorgere quella stessa Heidi che perseguita ancora i ricordi di infanzia di molti (ex) ragazzi italiani e non solo (Miyazaki-san aveva curato la scenografia dell’intera serie animata). E infine, non sarebbe sbagliato supporre che Hiromu Arakawa, la fumettista creatrice di Fullmetal Alchemist, abbia almeno una volta visto questo film, se si pensa alla scena in cui Shalulu, uno dei pirati, e il capomastro della miniera dove lavora Pazu fanno a gara a mostrare i loro muscoli. E via così, in una cascata di idee, immagini e situazioni che continua ancora oggi a ispirare mangaka e animatori di ogni parte del Sol Levante, spesso però privandole di quella raffinatezza e quell’eleganza con cui il grande maestro le aveva presentate in origine.

Sì, lo so che ci sperate, ma tanto è inutile: Pazu e Sheeta non finiscono a fare "quella cosa lì". Primo, perché sono minorenni; secondo, perché questo è un film di Miyazaki. Se volevate l'immondizia che mandano durante i weekend su Italia 1 potevate dirlo prima!
Va infatti sottolineato come, nonostante il suo innegabile contributo, l’arte di Miyazaki sia priva quel romanticismo portato agli eccessi tipico dei manga e degli anime contemporanei: fan di One Piece, di Dragon Ball e di Naruto, siete avvisati! Dimenticate i facili passaggi dal pianto amaro al riso sguaiato dei vostri beniamini, lasciate perdere cataclismi e scene distruttive in sequenza che culminano in assurdi parossismi del caos. L’umanità, l’intimismo e il fantastico di matrice favolesca sono certamente tre degli elementi principe dell’inarrivabile cifra stilistica di Miyazaki.

In Laputa – Il castello nel cielo siamo ben lontani dalla drammatica magniloquenza di opere più tarde come Il Castello Errante di Howl. Il film è certamente meno ambizioso, più contenuto nel modo con cui interagisce con lo spettatore, anche dal semplice punto di vista dell’impatto visivo. Ma c’è già tutto il maestro: il rapporto che si sviluppa tra Pazu e Sheeta, oltre che credibile per dinamica, è fatto di impressioni, ricordi, frasi ricche di stupore e suggestioni. Eppure i protagonisti sono due adulti-bambini dal passato difficile, costretti a contare sulle loro forze per tirare avanti.

Ma, generalmente, anche gli altri personaggi sembrano in qualche modo possedere questa natura semplice dentro di loro, pronta a pulsare fuori da un momento all’altro a seconda delle circostanze, poco importa il background. Il mondo del Miyazaki prima maniera è fatto di eterni bambini, ma nel senso buono della parola. Eternamente in viaggio tra spazi enormi e posti incantati, sempre lucidissimi nelle loro pure emozioni, nel loro stupore; non lo stupore (si badi bene) dell'imbecille, ma quello che nasce dal rapporto col nuovo, con l’inusitato, derivato dalla gioia di essere vivi.

D’altra parte, se da una filosofia di raccontare una storia prettamente favolesca trae origine la linfa vitale dell’arte di Miyazaki, va da sé che vanno tenuti in conto alcuni effetti collaterali tutto sommato più che accettabili, su tutti la banalità dell’antagonista principale, che in questo caso è il tenebroso agente Muska dei servizi segreti governativi.

Ma poco importa, se poi dall’altro lato della barricata abbiamo dei protagonisti le cui vicissitudini sono un vero e proprio inno alla libertà, alla purezza dell’individuo, alla sua primordiale essenza.

Una ragazza bella, simpatica, intelligente e sensibile che cade dal cielo. Insomma, il sogno recondito di molti uomini!

 Laputa – Il castello nel cielo potrebbe essere definito semplicemente come una gran bel film d’intrattenimento, ma in realtà è molto più di questo. Certamente è anche (e soprattutto) spensieratezza: il viaggio, l’azione e l’avventura sono i cardini di una sceneggiatura classica nella sua impostazione, forse priva di sprazzi luminosi di genialità, ma che ha comunque il merito di condurre lo spettatore attraverso un evasione intelligente, immaginifica, non di certo foriera di forzati quanto dannosi standby cerebrali. Anche lo spettatore viene trattato da Miyazaki come un bambino.

E allora lasciatevi andare, fatevi trasportare nell’incantevole mondo di Laputa – Il castello nel cielo, lasciate che tutto ciò che di buono questo film può trasmettere abbia il sopravvento su di voi. Forse tornerete bambini per almeno un’ora, senza neanche accorgervene.

Inutile dire che la pellicola è consigliata senza riserve a tutti, agli otaku così come  agli amanti del buon cinema. Come avrete capito dall’analisi sin qui fatta, non si tratta di certo dell’opera più “alta” del regista d’animazione giapponese per eccellenza. Ma, alla fine dei conti, chi se ne frega? Magari il disimpegno artistico desse tutti i giorni origine a film come questo!

GIUDIZIO FINALE: 8

Presto smetterete di contare il numero di volte in cui Pazu e Sheeta rischiano la pelle!



giovedì 14 giugno 2012

Avatar


Titolo originale: Avatar
Paese: USA
Anno: 2009
Regia: James Cameron
Cast: Sam Worthington, Zoë Saldaña, Stephen Lang, Sigourney Weaver
Genere: Fantascienza, avventura, azione

So già che dopo questa recensione mi farò parecchi nemici tra i “super fans” di James Cameron, ma è un rischio che sono disposto a correre. Ci tengo subito a precisare che non penso che il film in questione sia una ciofeca totale, però penso che sia stato eccessivamente sopravvalutato dall’opinione pubblica; ora vi spiego perché.

Un americano brutto e cattivo, che chiameremo Gargamella, vuole portare la sua democrazia (guerra) nel pianeta di Pandora, popolato da puffi alti tre metri, per sfruttarne i giacimenti minerari. Un soldato americano viene mandato nella tribù dei Na’(ti)vi come infiltrato, per acquisire informazioni in modo da organizzare l’attacco. Il ragazzo si innamora di una indigena, si unisce alla tribù e lotta per la libertà.

Esseri blu che vivono in contatto con la natura... c'eravamo prima noi da un pezzo!


Impossibile non notare una certa mancanza di fantasia nello sviluppo della storia. Viene quasi istintivo fare certi collegamenti con la scena della cascata presa da “L’ultimo dei Mohicani”, con il robot di “Aliens 2”, la storia d’amore soldato-indigena stile “Pocahontas”, la civile che tenta di integrarsi nella tribù stile “Balla coi lupi”, la manovra a distanza di un corpo estraneo che permette di acquisire una forza disumana tipo “Matrix”, ecc…

Insomma, una storia vista e rivista milioni di volte, talmente prevedibile che non ci vuole molto a capire come sarà il finale. Il tutto grazie ad una serie di copia-incolla più o meno espliciti. Qualcuno qui starà pensando “se vabbè, ma se stiamo a guardare queste cose allora tutti i film sono dei copia-incolla”; questo secondo me è vero in parte. Infatti, un conto è prendere spunto dalla tradizione, con dei riferimenti ad altri film, per poi creare qualcosa di nuovo, di originale (vedi Moon), un conto è copiare a man bassa senza creare nulla che non sia già stato visto troppe volte.

Devo ammettere che il motivo per cui sono andato a vedere questo film è stato per la “massiccia” campagna promozionale fatta dai media.

Ora, non dico che un film non deve essere pubblicizzato, ma quando vedi scritto “capolavoro” dappertutto (al telegiornale, nei quotidiani, sui manifesti, nel cesso degli autogrill..) ti rechi al cinema aspettandoti di vedere Chuck Norris uscire dallo schermo e prenderti a calci (rotanti).

La cosa che mi ha lasciato perplesso di questo film è il netto prevalere della forma sulla sostanza. Ho provato un senso di meraviglia e di stupore nel vedere un mondo totalmente costruito in 3D, popolato da alieni e creature mai viste, con dei paesaggi stupendi, sono rimasto letteralmente con gli occhi spalancati... Purtroppo, nonostante tanta grandezza visiva (la forma), non c'è stato un trasporto emotivo nella vicenda (la sostanza). La storia d’amore è fin troppo banale, non mi sono immedesimato nel protagonista, i personaggi sono troppo stereotipati per sembrare credibili.

È come trovarsi di fronte a una gran bella gnocca e quando ti avvicini per tentare un approccio scopri che impreca come un camionista e rutta in continuazione (ok, non è proprio così… Però ci siamo capiti no?).

Praticamente, lei lascia lui perché pensa che sia un traditore, poi lui torna nel villaggio con “l’uccello grosso” e i due si rimettono insieme… Questo è amore!


Secondo me il limite principale di questo film è quello di non entrare in quello che è l'aspetto più "umano", ovvero un approfondimento dei personaggi che permetta una immedesimazione e un coinvolgimento emotivo nella vicenda. Inoltre, il messaggio che il film vuole comunicare (il rispetto per la natura, Greenpeace ecc…) sembra solo un pretesto per dare libero sfogo alle manie di grandezza del regista.

Detto questo, non so se il film avrebbe ottenuto tutto questo consenso senza un budget stratosferico. Insomma, mi domando se questa storia avrebbe portato il film a diventare il maggior incasso nella storia del cinema se fosse stata ambientata in una foresta vera (non a computer), in una prateria qualsiasi (tipo indiani e cowboy) o in una catapecchia.

Di grande impatto è senza dubbio la recitazione degli attori nella loro veste di “personaggi virtuali”. Il regista, grazie alle moderne tecnologie, è riuscito a ricostruire un "sosia digitale" degli attori, con un risultato a dir poco sbalorditivo. Per intenderci, sono più espressive le figure virtuali rispetto agli attori in carne e ossa (Nicolas Cage potrebbe farci un pensierino…)!

In conclusione, si può parlare di un capolavoro riuscito a metà. Infatti, dal punto di vista “tecnico” e per gli effetti speciali, Cameron confeziona un capolavoro, un’opera d’arte visiva. Peccato che la grandezza di tali effetti sia inversamente proporzionale all’originalità della sceneggiatura.

Voto: diciamo che con una media tra un 10 per gli effetti speciali e un 1 per la storia… 5,5

N.B: voglio mostrarvi un trailer del film che mette in luce i limiti della sceneggiatura.

martedì 5 giugno 2012

Fare Arte

 In tutti gli anni in cui ho studiato arte (i miseri anni liceali, in cui si tasta solo la punta dell'Iceberg, me ne rendo conto) c'è sempre stata una cosa che tutti gli artisti avevano in comune: la comunicazione.

Fare arte vuol dire comunicare.

Almeno, questo è quello che credo sia la questione che sta alla base di tutto il creato artistico che vediamo quotidianamente.

Prendete la pittura, per esempio: una grande forma di visione e rappresentazione di un qualcosa che ha senso e che si vuole mostrare al pubblico.

O la scrittura, ovviamente



Ragazzi, parliamoci chiaro: quando ho scritto "Aprile è il mese più crudele" non mi riferivo al rigenero della natura in contrapposto alla sterilità umana, altresì intendevo dire che in quel fottuto mese piove che Dio la manda!


La cosa che più mi rende curioso è: che cosa c'è sotto? Voglio dire, come può una persona creare dei veri e propri capolavori di arte visiva? Che cosa sarà passato nella mente di quella persona?

Visto che siamo in un blog in cui si parla di cinema, chiedo: che cosa prova un regista quando il suo cervello e il suo animo stanno pensando alla storia?

Mi hanno colpito molto le parole di Mario Monicelli, qualche mese prima della sua triste morte: "La speranza è una trappola. È una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni" .

Fermo restando che una frase va sempre analizzata nel contesto (qui l'intervista integrale), mi sembrano veramente pesanti; la morte suicida, il fatto di voler vivere da solo, essere rimasto orfano di padre sono momenti drammatici per la vita di un uomo; eppure egli è riuscito a diventare uno dei più grandi registi della storia italiana.

Probabilmente Nietzsche aveva ragione nel dire: "Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante"

Per cui, quando magari qualcosa va storto, quando le avversità quotidiane colpiscono con una mannaia la vita, io penso a uno dei tantissimi esempi di uomini favolosi, che sono riusciti, nonostante il loro male, a fare dell'arte.

D'altro canto, chi vive, prova emozioni; chi è apatico, non vive. Ed qui che arriva la soluzione al mio dubbio.

E' necessario avere quella forza che riesca ad essere al di sopra delle emozioni, per poterle plasmare e condividerle sottoforma di "atto" con tutti.

Io purtroppo non ho delle grandi doti e, soprattutto, mezzi per creare dei capolavori; spero che questo blog possa in qualche modo essere un trampolino di lancio per qualcosa; mal che vada potrò consolarmi davanti a un bel film con una birra fresca, visto che sta arrivando il caldo!