venerdì 10 marzo 2017

Split

Titolo originale: Split
Paese: USA
Anno: 2017
Regia: M. Night Shyamalan
Cast: James McAvoy (superbo!!), Anya Taylor-Joy, Betty Buckley, Haley Lu Richardson, Jessica Sula
Genere: thriller, horror

"Quando all'inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla Terra!"
E tu caro lettore del blog ti starai chiedendo "ma perchè una citazione alla tagline più figa della storia del cinema ("Zombi" del grandissimo G. A. Romero, ndr) per una recensione di Split?
Beh, tutto questo perchè, come un morto vivente o, come un vivo morente (una caramella mou per chi indovina la citazione), il sottoscritto ritorna in vita dalla tomba in cui era inciampato negli ultimi mesi, pronto a recensire nuovamente le pellicole più interessanti (e anche meno) che ci accompagneranno in questo fulgido 2017!
E come iniziar al meglio se non con una recensione doppia con il caro Luro? Recensione doppia dovuta anche al fatto che mai pareri furono più discordanti perciò cederò la parola (o la tastiera che dir si voglia) al buon Luro che ci presenterà il film e ci dirà la sua con annesso voto e poi prenderò le redini del blog per farvi partecipi anche del mio ben più fausto punto di vista. Enjoy!

AH-AH, vi piacevano i film di Shyamalan una volta?

[Luro dixit] Ecco la mia personale e veloce recensione su Split: partiamo dal fatto che speravo tanto che il regista Shyamalan con questo film tentasse di darsi un bel colpo di reni dopo aver prodotto dei filmacci senza capo né coda come Lady in the water, E venne il giorno e…duh, After Earth.
Infatti vorrei ricordare che quest’uomo ha sfornato pellicole di buonissimo livello come “Signs” (ricordo un me piccolo scappato fuori dal cinema con la caccona da paura a metà pellicola), “Unbreakable” e quel capolavoro de “Il sesto senso
Insomma, “diamogliela sta fiducia a questo uomo per Giove!” mi dissi davanti alla sala.

Partiamo dunque con la trama:
Tre adolescenti di cui due parecchio fregne vengono rapite da un tizio affetto da disturbo dissociativo di identità: in pratica nel cervello di questo tizio ci sono ben 23 persone che a turno prendono le redini del corpo, una roba tipo Inside Out ma con possibili conseguenze penali.

Ce la faranno le due turbofighe e l’amica a scappare dal tizio stramboide? Come è possibile che un uomo sia così incarcerato dalla sua stessa testa? Ho veramente speso quei soldi per vedere sto film?

Ok, l’ultima non c’entra ma andiamo oltre.


Le 23 person... ehm le 7/8 personalità di Kevin!

Secondo me il cavallo di battaglia non che gran protagonista della pellicola è il signor McAvoy di cui ho ammirato la sua versatilità recitativa e nell’ apparire incredibilmente inquietante e tenero in poco tempo, roba che a volte è addirittura riuscito a farmi scappare una risata per via dei suoi modi surreali di cambiare modi di essere per via del cambio di personalità. Che sia una cosa positiva o negativa, ai posteri l’ardua sentenza.
Infatti quando l’omino del cervello (cit.) è la personalità di un bambino di nove anni, l’attore si comporta come tale, e la tensione cala in maniera talmente drastica che i toni si smorzano e sembra quasi di vedere un film comico. Scelta di stile o un errore di produzione?
Fatto sta che, se posso capire questo elemento recitativo, non ho digerito la scelta delle protagoniste: tre stereotipi adolescenziali americane medie, la bionda supersocial, la ricciola amica che la segue ovunque e la ragazza che è fuori dagli schemi perché è così diversa a causa di un trauma infantile.
Trauma incredibilmente devastante ma che nonostante ciò non mi ha creato un minimo di empatia nei confronti della ragazza in questione, la quale ha forse un limite recitativo (sguardo perso nel vuoto, piattezza nei dialoghi) e quindi diciamo che in questo genere di film manca quell'affetto che io spettatore avrei dovuto provare per le sventurate rapite, sentimento che dovrebbe caricare altre emozioni per tutta la pellicola. I casi sono due: o sono incredibilmente stronzo io o qualcosa purtroppo non è decollato.


Ma mi è decollato altro... ohohoh, non sono per nulla volgare oggi



Fortunatamente ho visto altri aspetti positivi, come la conclusione: come da sempre, i film di Shyamalan hanno sempre la fine da “WTF” e qui c’è stato, eccome se c’è stato! Guardate e capirete (mi piace pensare che il regista abbia strizzato tanto l'occhio ai suoi vecchi fan come per dire "visto che roba, eh? Eh? Mi perdonate? dai,dai,dai" come faceva il mio cane Zeus dopo che mi mangiava le scarpe e implorava pietà).
Come posso concludere il mio punto di vista? Paragonerei questo film come un secondo piatto al ristorante: il contorno è buonissimo ma l’ingrediente principale non ne è all'altezza, ergo devi dosare bene le quantità per non avere cattivo sapore in bocca.Forza Night, ci siamo quasi!

Voto: 6

Bene, bene, bene, anzi no male, male, male! Questo era il parere del mio collega (quasi ex, verrà a breve spodestate ma non diteglielo, shhhh) e, a parte, qualche considerazione generale sulla performance di McAvoy e l'impianto narrativo del film, mi trovo abbastanza in disaccordo e ora vi spiegherò perchè. Innanzi tutto, come già accennato sopra, Shyamalan è stato un regista con la "r" maiuscola all'inizio della sua carriera e ha regalato anche a me alcuni tra i film che più amo con dei plot twist da mandibola a terra (e alla lista di Luro aggiungerei anche lo snobbato "Lady in the water" che a me è sempre parsa una bellissima fiaba metropolitana) per poi perdersi con l'avvento della seconda metà degli anni '00 con filmacci piatti, insignificanti e senza nulla da dire o comunicare. Per molti sintomo di una positiva rinascita di McAvoy fu già "The Visit" (2015), piccolo horror semi-indipendente, per me, invece, la vera rinascita di Shyamalan è proprio questo "Split"! 
Di personalità multiple al cinema ne abbiamo viste parecchie in passato, basti pensare all'Andy Perkins di "Psycho" o al buonissimo "Identità" di James Mangold (sì quello che è adesso al cinema col crepuscolare "Logan" e ha fatto quello stupendo remake-western di "Quel treno per Yuma") ma, a mio avviso, nessuno ci aveva ancora regalato una performance così straordinaria e inquietante come quella di McAvoy e le sue 23 personalità (di cui se ne vedono sì e no otto ma va bene così, altrimenti il film sarebbe diventato un pastiche senza capo nè coda)! 



Luro, sei stato molto cattivo! Vedrai che recensione della Madonna ti faccio, sciocchino!


Quindi, tralasciando il fatto che vorrei McAvoy (l'altra sua memorabile interpretazione avviene ne "Il lercio", recuperatelo!) candidato agli Oscar 2018, quali sono gli altri punti di forza del film per il sottoscritto?


Innanzi tutto le tre ragazzine o, per meglio dire, la ragazzina protagonista, l'alienata e alienante Anya Taylor-Joy, già protagonista dello splendido "The Witch" (uno dei migliori horror di questa decade, se ne parlerà), con la quale sono subito entrato in empatia. A differenza delle sue due scialbe e stereotipate "amiche", la nostra protagonista si pone fin da subito agli occhi dello spettatore come un personaggio "diverso", tormentato, distante anni luce dalla "normalità" tutta americana che trasudano le altre due vittime del sequestro, sue coetanee ed inoltre risulta essere distaccata, distaccata da una famiglia che non compare mai (se non in un traumatico flash-back) e "distaccata" nella magistrale scena d'inizio film del rapimento, scena in cui il sequestratore di McAvoy, dopo aver brutalmente e velocemente addormentato le altre due ragazzine, si prende del gran tempo con lei, quasi ad indicare fin da subito che lui e la ragazzina sono accomunati da qualcosa di misterioso e sconvolgente (e qui mi fermo sennò partirebbe un mega SPOILER grande come un palazzo). Dunque promuovo a pieni voti i due protagonisti e anche la psicologa interpretata dalla veterana Betty Buckley come promuovo le ambientazioni (tre in particolare) che compongono il film: la testa e la mente di Casey (la nostra protagonista), lo studio dove avvengono le sedute dalla psicologa e i sotterranei-prigione in cui Kevin (il multiplo McAvoy) imprigiona le tre fanciulle. Sono inoltre da lodare i continui richiami freudiani che in un film simile non fanno mai male, come, ad esempio, la scala a spirale, la lama del coltello o gli stessi sotterranei, presi a simbolo dei meandri più oscuri e nascosti della nostra psiche


Shame! Shame! Shame! (cit.)

La regia è inoltre molto ispirata e riesce ad inquietare costantemente lo spettatore con lenti movimenti di macchina e la ripresa di spazi stretti, angusti e tipicamente chiusi e soffocanti.

Infine ho molto apprezzato anche la parte finale della pellicola che richiama un po' un mio grande amore, "Stati di allucinazione" di Ken Russel (più volte citato dal grande Tiziano Sclavi in Dylan Dog, se vi interessa recuperate il numero 58, "La clessidra di pietra") in cui si ventila la teoria secondo la quale la mente è così potente da poter trasfigurare o potenziare il corpo (molto affascinante!) e la scena finale in sè rappresenta una scelta spiazzante e coraggiosa del regista che, in un meccanismo completamente anti-commerciale, si rivolge ad una ristretta nicchia di pubblico/suoi aficionados e, solo chi ha visto "Unbreakable", lo potrà veramente capire. A me questo "incontro" finale ha esaltato non poco e, visto il dilagare di universi condivisi (Marvel Cinematic Universe, DC Universe ecc...) non vedo che male ci sarebbe nel crearne anche uno con i personaggi da thriller/horror partoriti dalla mente di Shyamalan!

Per concludere, vorrei segnalare che, anche a livello di temi messi sul piatto il film non è affatto male: si affronta la tematica della prigionia e della solitudine, di come può essere difficile crescere in una società superficiale come quella tratteggiata per una ragazzina sola, introversa e che ha già profondamente sofferto nonostante la giovane età ed anche la tematica (ma qui da prendere non troppo sul serio e "con le pinze") delle malattie mentali o semplicemente delle personalità multiple che, anche senza estremizzare, ognuno di noi si porta a spasso.
Se proprio volessimo trovare il pelo nell'uovo, il film doveva essere un attimo più asciutto, leggermente più corto della sua durata effettiva e (questo può piacere o meno) la sospensione dell'incredulità a cui è sottoposto lo spettatore, diciamo circa da metà film in poi, viene un po' messa a dura prova ma, se conoscete i film di Shyamalan non è nulla di nuovo; il tocco grottesco, invece, criticato dal buon Luro, a mio avviso, non spezza il ritmo facendo risultare alcune scene ridicole o involontariamente ironiche ma, anzi, le rende più spaventose ed inquietanti.
Insomma, se non si era capito, per me è un grande ritorno di forma di Shyamalan!
Voto: ½

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