venerdì 29 giugno 2012

Laputa - Il Castello nel Cielo


Titolo originale: 天空の城ラピュタ (Tenkū no Shiro Rapyuta)
Paese: Giappone
Anno: 1986
Regia: Hayao Miyazaki
Cast: Keiko Yokozawa, Mayumi Tanaka, Kotoe Hatsui, Minori Terada
Genere: fantastico, avventura, animazione

Piacciano o non piacciano le sue opere, di una cosa possiamo stare certi: Hayao Miyazaki è stato per l’animazione giapponese, a livello visivo e stilistico, ciò che Fritz Lang è stato per la fantascienza come genere cinematografico (e forse lo è ancora, benché l’iconografia del disegno animato nipponico abbia recentemente cominciato a soffrire di spiccate ridondanze). Ha esplorato territori nuovi, ha partorito i personaggi più impensabili, ha portato al successo una maniera romantico-avventurosa di intendere il plot che tuttora si riflette in ogni aspetto della pop culture del Sol Levante.

Effettivamente, agli occhi dell’uomo del 2000, o meglio ancora, a quelli dell’otaku contemporaneo drogato di tutto ciò che proviene dall’estremo oriente e fa rima con pop, i primi film dello Studio Ghibli possono piacere, sì, ma nel senso spiccio della parola, nel senso che non graffiano fino in fondo. Un piacere, cioè, che non va al di là del divertissement trasognato e palpitante che cerca di norma lo spettatore adulto medio di pellicole animate.

Certo, c’è l’attenzione maniacale del dettaglio, a ogni singolo gesto delle figure che si muovono in sontuosi quanto vivaci scenari, così piene di vita perché naturali nei loro movimenti (e qui va fatto un applauso agli animatori). Ci sono momenti in cui Miyazaki, in barba a coloro che ricercano solo il mero spasso, si concede qualche momento di raffinatissimo cinema, puntando sulla visionarietà e sulla contemplazione (complice anche una colonna sonora emotiva e onirica al tempo stesso, tutta realizzata al sintetizzatore). Il cinema del maestro nipponico, sin dai suoi albori, ha sempre un “qualcosa in più”, non si accontenta di una banale intreccio ben costruito. Ma il pubblico contemporaneo, tutto sommato, non sembra rimanerne impressionato più di tanto.

Per poter comprendere appieni i primi film di Miyazaki-san, è necessario allora fare un passo indietro, ritornare ai favolosi (?) anni ’80, calarsi nei panni di quello che poteva essere un estimatore del cinema animato dell’epoca. Allora capisci tante cose. Capisci che, se non fosse stato per film come “Nausicaa della valle del vento” o “Principessa Mononoke”, i tuoi miti dell’infanzia e (ma sì!) anche dell’adolescenza non sarebbero stati gli stessi. O peggio, non ci sarebbero mai stati.

Vendesi enorme castello sospeso nel cielo. Ottima vista, smodato numero di stanze. Telefonare ore pasti. Astenersi perditempo e persone affette da vertigini.

“Laputa – il castello nel cielo” ben si presta a questo discorso: storia avvincente, ambientazione credibile (c’è un po’ di Jules Verne e un po’ di Indiana Jones), personaggi resi in modo magistrale, azione a profusione. Fin qui sembra tutto molto scontato, già ci sembra di immaginare il classico film che nelle recensioni vediamo bollato come “un film per tutta la famiglia”. E invece no. Perché magari il film avrebbe funzionato lo stesso senza un ambientazione fantasy. Miyazaki, invece, opta per l’universo parallelo (steampunk in questo caso, pittoresco quanto affascinante, trasognato e pregno di ascendenze ottocentesche), si sbizzarrisce a dare forma all’inusitato, all’incredibile. E ci riesce. Con una semplicità e una schiettezza da lasciare commossi.

Ci vorrebbe un post a parte solo per parlare di tutte quelle interconnessioni metalinguistiche che percorrono l’arte contemporanea e che trovano le loro radici nell’universo immaginifico del maestro di Tokyo. Ve ne elencheremo alcune, giusto per farvi capire la portata rivoluzionaria che potevano avere all’epoca dell’uscita del film, quando cioè marmocchi simil-bambolotti e robottoni spacca tutto tenevano banco: uno dei due protagonisti, Pazu, giovane minatore, ha le stesse fattezze di Conan, altro personaggio ben noto dell’universo Miyazakiano, e personaggio principale di un anime cult di tutto rispetto. La storia di due ragazzi che partono alla ricerca di un favoloso tesoro e di una civiltà perduta, con addosso militari e pirati, è il leitmotiv dal quale trarrà le mosse un’altra memorabile serie animata, nota in Italia come “Nadia – Il mistero della pietra azzurra” (e che a sua volta contiene tutta una sfilza di robot il cui design sarà poi riciclato per un certo Neon Genesis Evangelion).

Nell’immagine di Sheeta fra i pascoli ci sembra di scorgere quella stessa Heidi che perseguita ancora i ricordi di infanzia di molti (ex) ragazzi italiani e non solo (Miyazaki-san aveva curato la scenografia dell’intera serie animata). E infine, non sarebbe sbagliato supporre che Hiromu Arakawa, la fumettista creatrice di Fullmetal Alchemist, abbia almeno una volta visto questo film, se si pensa alla scena in cui Shalulu, uno dei pirati, e il capomastro della miniera dove lavora Pazu fanno a gara a mostrare i loro muscoli. E via così, in una cascata di idee, immagini e situazioni che continua ancora oggi a ispirare mangaka e animatori di ogni parte del Sol Levante, spesso però privandole di quella raffinatezza e quell’eleganza con cui il grande maestro le aveva presentate in origine.

Sì, lo so che ci sperate, ma tanto è inutile: Pazu e Sheeta non finiscono a fare "quella cosa lì". Primo, perché sono minorenni; secondo, perché questo è un film di Miyazaki. Se volevate l'immondizia che mandano durante i weekend su Italia 1 potevate dirlo prima!
Va infatti sottolineato come, nonostante il suo innegabile contributo, l’arte di Miyazaki sia priva quel romanticismo portato agli eccessi tipico dei manga e degli anime contemporanei: fan di One Piece, di Dragon Ball e di Naruto, siete avvisati! Dimenticate i facili passaggi dal pianto amaro al riso sguaiato dei vostri beniamini, lasciate perdere cataclismi e scene distruttive in sequenza che culminano in assurdi parossismi del caos. L’umanità, l’intimismo e il fantastico di matrice favolesca sono certamente tre degli elementi principe dell’inarrivabile cifra stilistica di Miyazaki.

In Laputa – Il castello nel cielo siamo ben lontani dalla drammatica magniloquenza di opere più tarde come Il Castello Errante di Howl. Il film è certamente meno ambizioso, più contenuto nel modo con cui interagisce con lo spettatore, anche dal semplice punto di vista dell’impatto visivo. Ma c’è già tutto il maestro: il rapporto che si sviluppa tra Pazu e Sheeta, oltre che credibile per dinamica, è fatto di impressioni, ricordi, frasi ricche di stupore e suggestioni. Eppure i protagonisti sono due adulti-bambini dal passato difficile, costretti a contare sulle loro forze per tirare avanti.

Ma, generalmente, anche gli altri personaggi sembrano in qualche modo possedere questa natura semplice dentro di loro, pronta a pulsare fuori da un momento all’altro a seconda delle circostanze, poco importa il background. Il mondo del Miyazaki prima maniera è fatto di eterni bambini, ma nel senso buono della parola. Eternamente in viaggio tra spazi enormi e posti incantati, sempre lucidissimi nelle loro pure emozioni, nel loro stupore; non lo stupore (si badi bene) dell'imbecille, ma quello che nasce dal rapporto col nuovo, con l’inusitato, derivato dalla gioia di essere vivi.

D’altra parte, se da una filosofia di raccontare una storia prettamente favolesca trae origine la linfa vitale dell’arte di Miyazaki, va da sé che vanno tenuti in conto alcuni effetti collaterali tutto sommato più che accettabili, su tutti la banalità dell’antagonista principale, che in questo caso è il tenebroso agente Muska dei servizi segreti governativi.

Ma poco importa, se poi dall’altro lato della barricata abbiamo dei protagonisti le cui vicissitudini sono un vero e proprio inno alla libertà, alla purezza dell’individuo, alla sua primordiale essenza.

Una ragazza bella, simpatica, intelligente e sensibile che cade dal cielo. Insomma, il sogno recondito di molti uomini!

 Laputa – Il castello nel cielo potrebbe essere definito semplicemente come una gran bel film d’intrattenimento, ma in realtà è molto più di questo. Certamente è anche (e soprattutto) spensieratezza: il viaggio, l’azione e l’avventura sono i cardini di una sceneggiatura classica nella sua impostazione, forse priva di sprazzi luminosi di genialità, ma che ha comunque il merito di condurre lo spettatore attraverso un evasione intelligente, immaginifica, non di certo foriera di forzati quanto dannosi standby cerebrali. Anche lo spettatore viene trattato da Miyazaki come un bambino.

E allora lasciatevi andare, fatevi trasportare nell’incantevole mondo di Laputa – Il castello nel cielo, lasciate che tutto ciò che di buono questo film può trasmettere abbia il sopravvento su di voi. Forse tornerete bambini per almeno un’ora, senza neanche accorgervene.

Inutile dire che la pellicola è consigliata senza riserve a tutti, agli otaku così come  agli amanti del buon cinema. Come avrete capito dall’analisi sin qui fatta, non si tratta di certo dell’opera più “alta” del regista d’animazione giapponese per eccellenza. Ma, alla fine dei conti, chi se ne frega? Magari il disimpegno artistico desse tutti i giorni origine a film come questo!

GIUDIZIO FINALE: 8

Presto smetterete di contare il numero di volte in cui Pazu e Sheeta rischiano la pelle!



Nessun commento:

Posta un commento