venerdì 1 giugno 2018

L'isola dei cani di Wes Anderson

L'isola dei cani

Titolo originale: Isle of Dogs
Paese: USA
Anno: 2018
Regia: Wes Anderson
Cast (voci dei doppiatori): Bryan Cranston, Edward Norton, Bill Murray, Bob Balaban, Jeff Goldblum, Frances McDormand, Greta Gerwig, Scarlet Johansson, Harvey Keitel, Liev Schreiber, Yoko Ono, Tilda Swinton, Ken Watanabe e, insomma, le voci di qualsiasi dei migliori attori oggi in circolazione!
Genere: animazione in stop motion, avventura, commedia, fantastico

Non volendo farmi "bagnare il naso" dal mio collega Luro che vedo molto in fermento e voglioso di rimetter mano con maggior frequenza a questo piccolo blog di quartiere, ho voluto un po' "impormi" di tornare a scrivere e pubblicare in maniera più articolata e "ricca" in termini di contenuti rispetto all'andazzo degli ultimi mesi a questa parte in cui pubblicavo, spesso a caldo, pareri diciamo caserecci, alla buona, direttamente sulla pagina "faccialibro" di questa piccola realtà di amanti (non contraccambiati sia chiaro) della settima arte!
Quindi, per chi avrà voglia, beccatevi la mia ultima recensione/analisi/parere spassionato o semplice elucubrazione di un folle!

Il film in questione è l'ultima splendida, magniloquente, fantasmagorica (e aggiungeteci pure tutti gli aggettivi e i superlativi che vi vengono in mente) opera del regista texano, newyorkese di adozione ma semplicemente cittadino del mondo intero, Wes Anderson!
Partiamo dal titolo "Isle of dogs" che, pronunciato velocemente, con un bel gioco fonetico, diventa "I love dogs" e fin da subito possiamo notare l'attenzione per i dettagli, la spiccata genialità e il divertissement verbale con cui al regista di Houston piace giocare con lo spettatore.
Ciò che seguirà saranno 101 minuti di regia mastodontica e certosina, di limpida perfezione e anche, perché no, di manierismo e barocchismo nelle immagini che, però, non sarà mai vuoto o privo di significato ma sempre associato a rimandi altri e a rimandi "alti"!
E, diciamolo fin da subito, tutta questa abbondanza di maestria tecnica e visiva sarà accompagnata da una delle migliori soundtrack di Alexandre Desplat (di recente vincitore agli Oscar per la colonna sonora altrettanto bella di "The Shape of Water - La forma dell'acqua" del mio amato Del Toro), una colonna sonora tambureggiante, dal ritmo incalzante che darà alla pellicola il tono di una marcetta, un tour de force verso la rivoluzione, verso la rivendicazione di diritti (dei cani ma anche delle persone) che il potere politico e l'apparato burocratico più turpe e meschino vogliono sopprimere e spezzare (prima grande tematica del film).

"Più umani degli umani", il quintetto di giovani rivoluzionari a quattro zampe!

Ma, in breve, di cosa parla questo film? Ecco una breve sinossi:"L'isola dei cani è ambientato nel Giappone del 2037, dopo una storia travagliata di antagonismo tra gatti e cani, il governo emana un decreto: a causa dell'influenza canina, tutti i cani verranno esiliati nella discarica, la Trash Island. Tra questi c'è Spot, il cane di Atari, un bambino di dodici anni che decide di andare sull'isola e riprendersi il cane, lì farà amicizia con altri cani dimenticati e tenteranno di sovvertire questo decreto".
Il teatro kabuki in azione!

Dopo un'intro memorabile che, sempre ritmicamente, ci presenta il contesto e la storia dell'atavica lotta tra cani e gatti (questi ultimi sostenuti e ben voluti dai burocrati e dai personaggi di potere che reggono la società giapponese di questo futuro prossimo distopico) tramite fermi-immagine che riprendono le caratteristiche stampe nipponiche dell'ukiyo-e e le rappresentazioni del teatro kabuki, faremo la conoscenza del giovane Atari e di un quintetto di cani "ribelli" che abitano quest'isola: Chief (Bryan Cranston), Rex (Edward Norton), King (Bob Balaban), Boss (Bill Murray) e Duke (Jeff Goldblum). Fin dalle prime battute ci si può render conto di come i cani siano quanto di più metaforico, Wes Anderson fa proprio lo stratagemma di utilizzare i cani per parlare di esseri umani e ci presenta il viaggio di formazione dell'anarchico cane del gruppo (Chief) che dovrà purificarsi di tutte le scorie senza perdere la sua individuale forza carismatica e che assurgerà a linea di condotta per tutti gli altri cani del gruppo. Il personaggio (o cane che dir si voglia) interpretato da Cranston rappresenta (come anche il bambino Atari successivamente) il classico e adorabile outsider tipico del cinema di Anderson: infatti, a differenza degli altri cani del gruppo che hanno tutti un passato di coccole, vizi e anche fama a mò di star del cinema hollywoodiano e rimpiangono i bei tempi in cui erano i felicemente fedeli "migliori amici" dei loro padroni umani, Chief, anche precedentemente, è stato sempre un cane randagio, "uno che morde", non ha mai saputo integrarsi all'interno di una famiglia (tema sempiterno del cinema a stelle e strisce) e non ha mai voluto aver un padrone al quale legarsi.
"Io mordo!" [cit.]

Come potete appurare anche da queste semplici premesse, non ci troviamo di fronte a un film che utilizzerà in maniera stucchevole o lacrimevole (alla "Hachiko" per intenderci) la figura dei nostri amici a quattro zampe ma, anzi quest'ultimi saranno utilizzati per costruire psicologie e caratteri complessi e stratificati e ci sarà, durante tutta la pellicola, un bel parallelismo tra questi giovani ragazzi cani ribelli, dotati di talenti che molto spesso non sono sinonimo di integrazione ma di esclusione e i giovani ragazzini umani, stanchi di uno status quo opprimente, che vogliono sovvertire le regole!
Dall'altra parte della barricata troviamo i felini: i gatti sono sempre rappresentati intorno agli uomini di potere (perlopiù personaggi gretti ed egoisti) e questa è un'altra delle trovate geniali di Wes, una trovata grottesca ed ironica, che diverte perché ci mostra come le discriminazioni, molto spesso, nascano da semplici e istintive o inspiegabili fissazioni/avversioni verso qualcosa o qualcuno in maniera totalmente irrazionale!
I felini ci introducono così all'interno del mondo dei burocrati, dei politici e degli uomini di potere e ci viene presentato un certo "rigore del potere", del verticalismo gerarchico, tipico della società giapponese o, meglio ancora, tipico dell'immagine che noi occidentali abbiamo in mente del Giappone! Infatti, un altro gran bell'espediente, presente non solo qui ma in tutta la filmografia andersoniana, è mostrarci luoghi, società e civiltà non per quello che realmente sono ma per come le percepiamo, per come ci è stato trasmesso un posto tramite l'immaginario della cultura pop e questo è valido per l'India del Darjeeling ("Il treno per il Darjeeling") o l'est Europa di "Grand Budapest Hotel".
Il creatore di mondi Wes Anderson e la magia dello stop motion!


Detto ciò, il film procede spedito, pieno zeppo di tutti gli orpelli grafici e gli accorgimenti registici tipici del cinema di questo autore: e allora ritroviamo le sue famose inquadrature simmetriche, un'estetica riconoscibilissima e bizzarra, carrellate orizzontali e verticali come non ci fosse un domani e, all'interno di questa perfezione geometrica, calibrata nei minimi dettagli, si inserisce un'altra (tendo a ripetermi) idea geniale: quella costituita dal caos delle zuffe che si verificano tra i vari personaggi in diversi momenti del film, zuffe rappresentate con il "polverone" tipico degli anime (cartoni animati ma spero che tutti lo sappiano) comici giapponesi, un polverone che genera caos per l'appunto ma un caos costruttivo e che ha il sapore della rivoluzione!
Ultimi, non meno importanti, aspetti rilevanti riguardano la struttura del film che presenta, e penso sia una novità per il cinema di Anderson, un'organizzazione del tempo non lineare, ricca di flashbacks e di flash-forwards, e la copiosa abbondanza di citazioni che avviene tramite suoni, immagini o aspetti registici.
Come già accennato, la colonna sonora riprende il motivetto, la marcetta ritmica de "I sette samurai" del dio del cinema orientale Akira Kurosawa (e, se non l'avete mai visto, non posso far altro che invidiarvi perché piacerebbe anche a me poterlo rivedere con occhi vergini, come fosse la prima volta e, da quel momento in poi, se vorrete scoprire il cinema di Kurosawa, non guarderete più la seppur magnifica filmografia di Leone nello stesso modo, vi sembrerà che nulla di ciò che il buon Sergio ha filmato sia veramente nuovo o innovativo ma tutto estremamente derivativo da ciò che ha fatto il grande maestro giapponese!) che, per intenderci, ha le stessa importanza di Orson Welles ("Quarto Potere", "L'infernale Quinlan") qua in occidente e sempre da Kurosawa viene ripresa la rappresentazione dell'epicità del viaggio e dell'impresa da compiere; la ricetta comprende anche qualche spruzzatina di Miyazaki qua e là ma, soprattutto, omaggi e citazioni ad altri due grandi filmakers nipponici: Ozu ("Viaggio a Tokyo", "Tarda primavera") per quanto riguarda la rappresentazione della parte urbana e Mizoguchi ("I racconti della luna pallida d'agosto", ho visto solo questo suo film ma vi posso assicurare che, se avrete voglia di vederlo, è una delle più belle esperienze cinematografiche che si possano fare) nella descrizione dei bassifondi o di un ambiente "disperato".
Altro che Alleanza! Eccoli i veri ribelli, i veri anarchici!!
Infine (tendo a tenerle per ultime) ecco alcune considerazioni sulle tante tematiche del film: il tema preminente della pellicola è quello della rivolta generazionale, di una progenie che vuole cambiar la classe politica dominante, una classe politica corrotta e autoreferenziale che ormai non ha più il minimo interesse verso il benessere dei cittadini né, tanto meno, verso il bene pubblico ("ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti in Italia è puramente casuale" ;) ); inoltre la bassezza di questa classe politica viene mostrata tramite l'abbandono e la deportazione di quelli che dovrebbero essere i migliori amici dell'uomo, proprio quei cani che hanno nel loro imprinting genetico la fedeltà e l'amore incondizionato verso il proprio padrone per quanto nobile o squallido possa essere. I cani deportati, oltre a ricordarci un triste passato, mettono in campo la tematica (penosamente un evergreen) dell'emarginazione e della paura del diverso.
Sempre riguardo l'aspetto politico del film, un'altra riflessione ho trovato molto interessante, quello di contrapporre la maniera fintamente perbenista con cui avviene il dialogo/scontro (l'autoritario sindaco Kobayashi, tutore del nipote Atari, lascia la parola nei dibattiti pubblici alle minoranze dicendo sempre "respect!" ma, dietro questa facciata, si nasconde una specie di yakuza che non si pone problemi a uccidere, corrompere, mentire o insabbiare) all'interno delle istituzioni manipolatrici, naturalmente propense alla menzogna e il populismo, al modo in cui avviene il dialogo politico nella comunità canina dove viene sempre messa ai voti una decisione, vengono ascoltate tutte le opinioni prima di votare e vi è il compromesso alla fine.
Compromessi e decisioni spesso mal accettate, ma accettate, dal protagonista-cane Chief che è sempre pronto a dire "no"e a dissentire mostrando anche il valore di un'opinione discorde o della protesta.

Si scioglierà anche il cuore fintamente di ghiaccio del nostro randagio!
Suo speculare (fin'ora mi son dimenticato di prenderlo in considerazione, nonostante sia il motore primario che innesca gli eventi, proprio perché entra in scena nella parte finale della pellicola) è Spot, il cane-guardia del corpo di Atari, un cane che, una volta deportato sull'isola, ha deciso di rompere la sua gabbia di benessere per diventare una sorta di leader politico, facendosi portavoce della sommossa tesa a rivendicare libertà e autonomia per i proprio simili.
Un'ulteriore tematica è quella dell'incomunicabilità, ben raffigurata tramite l'idea di non tradurre il giapponese parlato ma solo quello scritto, infatti non capiremo una sola delle parole pronunciate dal piccolo Atari mentre comprenderemo appieno i discorsi dei nostri adorabili quadrupedi pelosi!
Per concludere, vorrei porre l'accento sull'aspetto emotivo della pellicola che stavo per trascurare ma che non è meno importante di tutti gli altri citati fin'ora: oltre al primo livello, quello del rapporto di amore e amicizia tra un bambino e il suo cagnolino, si inserisce il ben più stimolante discorso sulla crescita, sull'andare avanti, sull'abbandonare vecchi istinti e cocciutaggini e, a volte, vecchi legami, e trovarne di nuovi, magari più profondi, più sentiti e che possano dare nuova linfa e speranza. Speranza e, nonostante tutto, positivismo per un futuro migliore!
Au revoir!
"Eccola laggiù, la prossima recensione a tema canino!"

Voto

P.s.: forse di più è troppo nonostante mi sia piaciuto moltissimo, di meno è troppo poco! Vi lascio con la promessa di tornare a breve su questi lidi con un altro film che ho amato e che, insieme a "Wind River", "Tre manifesti", "Il filo nascosto" e pochi altri, si appresta a diventare uno dei migliori dell'anno: sto parlando, rimaniamo sempre in tema canino, di Dogman di Matteo Garrone!

P.p.s.: mi viene in mente solo ora ma se volete saperne un po' di più sul processo creativo che sta alla base della stop motion vi linko questo interessante video:


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