Titolo originale: 天空の城ラピュタ (Tenkū no Shiro Rapyuta)
Paese: Giappone
Anno: 1986
Regia: Hayao Miyazaki
Cast: Keiko Yokozawa, Mayumi Tanaka, Kotoe Hatsui, Minori Terada
Genere: fantastico, avventura, animazione
Piacciano o non
piacciano le sue opere, di una cosa possiamo stare certi: Hayao Miyazaki è
stato per l’animazione giapponese, a livello visivo e stilistico, ciò che Fritz Lang è stato per la fantascienza come genere cinematografico (e forse lo è
ancora, benché l’iconografia del disegno animato nipponico abbia recentemente
cominciato a soffrire di spiccate ridondanze). Ha esplorato territori nuovi, ha
partorito i personaggi più impensabili, ha portato al successo una maniera
romantico-avventurosa di intendere il plot che tuttora si riflette in ogni
aspetto della pop culture del Sol Levante.
Effettivamente, agli
occhi dell’uomo del 2000, o meglio ancora, a quelli dell’otaku contemporaneo drogato
di tutto ciò che proviene dall’estremo oriente e fa rima con pop, i primi film
dello Studio Ghibli possono piacere, sì, ma nel senso spiccio della parola, nel
senso che non graffiano fino in fondo. Un piacere, cioè, che non va al di là
del divertissement trasognato e palpitante
che cerca di norma lo spettatore adulto medio di pellicole animate.
Certo, c’è l’attenzione
maniacale del dettaglio, a ogni singolo gesto delle figure che si muovono in
sontuosi quanto vivaci scenari, così piene di vita perché naturali
nei loro movimenti (e qui va fatto un applauso agli animatori). Ci sono momenti in cui Miyazaki, in barba a coloro che
ricercano solo il mero spasso, si concede qualche momento di raffinatissimo
cinema, puntando sulla visionarietà e sulla contemplazione (complice anche una colonna sonora emotiva e onirica al tempo stesso, tutta realizzata al sintetizzatore). Il cinema del
maestro nipponico, sin dai suoi albori, ha sempre un “qualcosa in più”, non si
accontenta di una banale intreccio ben costruito. Ma il pubblico contemporaneo,
tutto sommato, non sembra rimanerne impressionato più di tanto.
Per poter comprendere
appieni i primi film di Miyazaki-san, è necessario allora fare un passo indietro,
ritornare ai favolosi (?) anni ’80, calarsi nei panni di quello che
poteva essere un estimatore del cinema animato dell’epoca. Allora capisci tante
cose. Capisci che, se non fosse stato per film come “Nausicaa della valle del
vento” o “Principessa Mononoke”, i tuoi miti dell’infanzia e (ma sì!) anche
dell’adolescenza non sarebbero stati gli stessi. O peggio, non ci sarebbero mai stati.
Vendesi enorme castello sospeso nel cielo. Ottima vista, smodato numero di stanze. Telefonare ore pasti. Astenersi perditempo e persone affette da vertigini. |
“Laputa – il castello
nel cielo” ben si presta a questo discorso: storia avvincente, ambientazione
credibile (c’è un po’ di Jules Verne e un po’ di Indiana Jones), personaggi
resi in modo magistrale, azione a profusione. Fin qui sembra tutto molto
scontato, già ci sembra di immaginare il classico film che nelle recensioni vediamo
bollato come “un film per tutta la famiglia”. E invece no. Perché magari il
film avrebbe funzionato lo stesso senza un ambientazione fantasy. Miyazaki,
invece, opta per l’universo parallelo (steampunk in questo caso, pittoresco
quanto affascinante, trasognato e pregno di ascendenze ottocentesche), si
sbizzarrisce a dare forma all’inusitato, all’incredibile. E ci riesce. Con una
semplicità e una schiettezza da lasciare commossi.
Ci vorrebbe un post a
parte solo per parlare di tutte quelle interconnessioni metalinguistiche che
percorrono l’arte contemporanea e che trovano le loro radici nell’universo immaginifico
del maestro di Tokyo. Ve ne elencheremo alcune, giusto per farvi capire la
portata rivoluzionaria che potevano avere all’epoca dell’uscita del film,
quando cioè marmocchi simil-bambolotti e robottoni spacca tutto tenevano banco:
uno dei due protagonisti, Pazu, giovane minatore, ha le stesse
fattezze di Conan, altro personaggio ben noto dell’universo Miyazakiano, e
personaggio principale di un anime cult di tutto rispetto. La storia di due
ragazzi che partono alla ricerca di un favoloso tesoro e di una civiltà
perduta, con addosso militari e pirati, è il leitmotiv dal quale trarrà le
mosse un’altra memorabile serie animata, nota in Italia come “Nadia – Il
mistero della pietra azzurra” (e che a sua volta contiene tutta una sfilza di
robot il cui design sarà poi riciclato per un certo Neon Genesis Evangelion).
Nell’immagine di
Sheeta fra i pascoli ci sembra di scorgere quella stessa Heidi che perseguita
ancora i ricordi di infanzia di molti (ex) ragazzi italiani e non solo
(Miyazaki-san aveva curato la scenografia dell’intera serie animata). E infine,
non sarebbe sbagliato supporre che Hiromu Arakawa, la fumettista creatrice di
Fullmetal Alchemist, abbia almeno una volta visto questo film, se si pensa alla
scena in cui Shalulu, uno dei pirati, e il capomastro della miniera dove lavora
Pazu fanno a gara a mostrare i loro muscoli. E via così, in una cascata di idee,
immagini e situazioni che continua ancora oggi a ispirare mangaka e animatori
di ogni parte del Sol Levante, spesso però privandole di quella raffinatezza e
quell’eleganza con cui il grande maestro le aveva presentate in origine.
Va infatti sottolineato
come, nonostante il suo innegabile contributo, l’arte di Miyazaki sia priva
quel romanticismo portato agli eccessi tipico dei manga e degli anime
contemporanei: fan di One Piece, di Dragon Ball e di Naruto, siete avvisati!
Dimenticate i facili passaggi dal pianto amaro al riso sguaiato dei vostri
beniamini, lasciate perdere cataclismi e scene distruttive in sequenza che
culminano in assurdi parossismi del caos. L’umanità, l’intimismo e il
fantastico di matrice favolesca sono certamente tre degli elementi principe
dell’inarrivabile cifra stilistica di Miyazaki.
In Laputa – Il castello
nel cielo siamo ben lontani dalla drammatica magniloquenza di opere più tarde
come Il Castello Errante di Howl. Il film è certamente meno ambizioso, più
contenuto nel modo con cui interagisce con lo spettatore, anche dal semplice
punto di vista dell’impatto visivo. Ma c’è già tutto il maestro: il rapporto
che si sviluppa tra Pazu e Sheeta, oltre che credibile per dinamica, è fatto di
impressioni, ricordi, frasi ricche di stupore e suggestioni. Eppure i
protagonisti sono due adulti-bambini dal passato difficile, costretti a contare
sulle loro forze per tirare avanti.
Ma, generalmente,
anche gli altri personaggi sembrano in qualche modo possedere questa natura semplice
dentro di loro, pronta a pulsare fuori da un momento all’altro a seconda delle
circostanze, poco importa il background. Il mondo del Miyazaki prima maniera è
fatto di eterni bambini, ma nel senso buono della parola. Eternamente in viaggio
tra spazi enormi e posti incantati, sempre lucidissimi nelle loro pure
emozioni, nel loro stupore; non lo stupore (si badi bene) dell'imbecille, ma
quello che nasce dal rapporto col nuovo, con l’inusitato, derivato dalla gioia
di essere vivi.
D’altra parte, se da una
filosofia di raccontare una storia prettamente favolesca trae origine la linfa
vitale dell’arte di Miyazaki, va da sé che vanno tenuti in conto alcuni effetti
collaterali tutto sommato più che accettabili, su tutti la banalità dell’antagonista
principale, che in questo caso è il tenebroso agente Muska dei servizi segreti
governativi.
Ma poco importa, se
poi dall’altro lato della barricata abbiamo dei protagonisti le cui
vicissitudini sono un vero e proprio inno alla libertà, alla purezza dell’individuo,
alla sua primordiale essenza.
Una ragazza bella, simpatica, intelligente e sensibile che cade dal cielo. Insomma, il sogno recondito di molti uomini! |
Laputa – Il castello nel cielo potrebbe essere
definito semplicemente come una gran bel film d’intrattenimento, ma in realtà è
molto più di questo. Certamente è anche (e soprattutto) spensieratezza: il
viaggio, l’azione e l’avventura sono i cardini di una sceneggiatura classica
nella sua impostazione, forse priva di sprazzi luminosi di genialità, ma che ha
comunque il merito di condurre lo spettatore attraverso un evasione intelligente,
immaginifica, non di certo foriera di forzati quanto dannosi standby cerebrali.
Anche lo spettatore viene trattato da Miyazaki come un bambino.
E allora lasciatevi
andare, fatevi trasportare nell’incantevole mondo di Laputa – Il castello nel
cielo, lasciate che tutto ciò che di buono questo film può trasmettere abbia il
sopravvento su di voi. Forse tornerete bambini per almeno un’ora, senza neanche
accorgervene.
Inutile dire che la
pellicola è consigliata senza riserve a tutti, agli otaku così come agli amanti del buon cinema. Come avrete capito dall’analisi sin qui fatta, non si tratta di certo dell’opera più “alta”
del regista d’animazione giapponese per eccellenza. Ma, alla fine dei conti,
chi se ne frega? Magari il disimpegno artistico desse tutti i giorni origine a
film come questo!
GIUDIZIO FINALE: 8
GIUDIZIO FINALE: 8
Presto smetterete di contare il numero di volte in cui Pazu e Sheeta rischiano la pelle! |
Nessun commento:
Posta un commento