Titolo originale: The Neon Demon
Paese: Francia, US, Danimarca
Anno: 2016
Regia: Nicolas Winding Refn
Cast: Elle Fanning, Jena Malone, Christina Hendricks, Keanu Reeves, Alessandro Nivola
Genere: thriller, horror
Pensavate che il sottoscritto e il caro Luro fossero
fuggiti col bottino delle loro ultime scorribande su qualche isola tropicale?
Ebbene … no, siamo ancora qui, vivi e (più o meno) vegeti e forse sarebbe anche
il caso che la smettessi di usare il plurale in stile “mago Otelma” visto che
mi trovo a battere sulla tastiera in totale isolamento in questi istanti.
Riprendendo possesso del mio “io visibile” (e son sapete di cosa si tratta non
è che abbiate scarse conoscenza filosofiche ma soltanto vi state perdendo
l’ultima serie-bomba lanciata da Netflix, “The OA”) vorrei passare alla
recensione vera e propria e ridare il via ad una nuova stagione
critico/creativa di questo piccolo blog di quartiere.
E quale miglior modo per “riaprire le danze” se non
recensendo uno di quei film che maggiormente mi hanno colpito quest’anno e che
ritengo un piccolo capolavoro della stagione cinematografica appena conclusasi
(non contando, ovviamente, le decine di pellicole “da Oscar” che, come ci
ricorda la distribuzione italiana, arriveranno in sala tra Gennaio e Febbraio)?
Premessa d’obbligo: il film che andrò ad analizzare (o per lo meno tenterò) è stato
presentato all’ultimo festival di Cannes ed è stato anche parecchio fischiato e
bistrattato da buona parte della “critica ufficiale”, oltre ad esser stato
ritenuto di cattivo gusto e, per certi versi, scandaloso o pregno di violenza
gratuita. Sto parlando, se non si fosse ancora capito, di “The Neon Demon” e
nulla di più falso poteva essere detto o scritto!
Il primo scioccante "quadro" dell'opera di Refn |
L’ultima fatica del grande Nicolas Winding Refn, già
autore di gemme dalla rara lucentezza come “Bronson”, “Drive” o la trilogia di
“Pusher”, rappresenta per me il coronamento della carriera di questo eccentrico
cineasta danese che ha saputo intercettare, meglio di molti altri suoi
contemporanei, mode, problematiche e ossessioni della nostra società, unendo
uno stile ed un immaginario prettamente pop ad immagini, suoni, colori e
sequenze unici e potenti.
A mio parere, questo film ha tutte le carte in regola per
essere definito un capolavoro moderno (termine di cui non cerco mai di
abusare), un’opera estetica da ammirare ancor prima che comprendere o
analizzare, che si rifà apertamente alle splendide immagini e ai giochi di luci
tipici della filmografia del grande Dario Argento, mentore e collaboratore del
più giovane Refn.
Partiamo da un aspetto che tendo a trascurare o a mettere
in secondo piano quando scrivo una recensione ma che, mai come in questo caso,
ha un valore preponderante, ossia la colonna sonora: le musiche elettroniche,
martellanti e, a volte, disturbanti e roboanti create da Cliff Martinez
rappresentano un tipo di sonorità che generalmente non riuscirei ad apprezzare
quasi in nessun contesto o in nessun altro film ma, in questo caso, calzano a
pennello, sorreggono la narrazione scena dopo scena e fanno mutare lo stato
d’inquietudine o di sorpresa dello
spettatore più e più volte. Anche questo aspetto è chiaramente ispirato alle
particolarissime colonne sonore, molto spesso ad opera dei “Goblin”, che
adornavano magnificamente i più riusciti film di Dario Argento.
“A braccetto” con la colonna sonora, la fanno da padrone
le luci psichedeliche, pulsanti e alienanti di questa pellicola, gioia e dolore
per gli occhi del pavido spettatore; anch’esse contribuiscono alla composizione
di questo magniloquente affresco di luci e suoni. I colori forti,
principalmente al neon e spesso lampeggianti si sposano a meraviglia con ciò
che la narrazione vuole comunicarci e l’utilizzo di frame proiettati in rapida
sequenza, in cui il movimento viene a perdersi, facendo divenire le inquadrature
vere e proprie istantanee da incubo, è un altro accorgimento a dir poco
geniale.
Ma di cosa parla “in soldoni” questo film? La trama è
all’apparenza molto semplice e, in pillole, è la seguente: “Jesse,
un'aspirante modella, si trasferisce a Los Angeles, dove viene
reclutata da un magnate della moda come la sua musa. Entrando nell'industria
della moda, la sua vitalità e giovinezza saranno divorate da un gruppo di donne
ossessionate dalla bellezza, che useranno ogni mezzo per ottenere ciò che ha.”
Lo specchio: tematica fondamentale della pellicola, simboleggia l'opposto ed il contrario che si riflette ma è anche specchio dell'anima! |
La protagonista dell’apparente trita e
ritrita storia di ricerca del successo e dell’affermazione di sé in un mondo
crudele, a tratti violento e quasi “cannibale” come quello della moda, è la
giovane Elle Fanning (sorellina della più nota Dakota) che all’epoca (due anni
fa) in cui fu girato il film, aveva appena sedici anni e si è dovuta
confrontare con un personaggio estremamente complesso, dovendo interpretare una
ragazzina ingenua, innocente e pura, portatrice di una bellezza quasi “non
umana”, una bellezza trascendentale e, non a caso, una finezza del regista è
quella di comporre l’inquadratura della scena in modo tale che lei spicchi
sempre, anche in mezzo all’altisonante bellezza delle altre modelle ed,
inoltre, è costantemente illuminata e contornata dalla luce, quasi ad indicare
la provenienza “divina” della sua bellezza che stordisce e riempie gli occhi di
chi la guarda. Nonostante questi aspetti che tendono ad accumunarla ad una
figura angelica, Jesse presenta un lato nascosto ed oscuro, che emergerà pian
piano: sembra infatti che la sua apparente innocenza le impedisca di
comprendere appieno il mondo che la circonda ed inoltre la sua bellezza è
portatrice anche di distruzione e dolore (“Mia madre lo diceva sempre. Sono
pericolosa!”), infatti quando sei così bella ispiri amore e odio in egual
misura, spingendo le persone ad estremizzare i loro sentimenti, positivi o
negativi che siano, nei confronti di una così spiccata armonia.
"Guardati, vuoi davvero essere come tutte loro?" "No. Sono loro che vogliono essere come me!" |
L'inperscrutabile Ruby |
Il violento albergatore interpretato da Reeves |
Gli altri, pochi tra l’altro, personaggi
funzionali alla vicenda comprendono: Dean, il giovane fotografo che scoprirà
per primo la bellezza di Jesse e la introdurrà nel mondo dell’alta moda e della
grande metropoli, sarà inizialmente suo amico e confidente ma, come gli verrà
fatto notare dal cinico fashion designer interpretato da Alessandro Nivola,
egli l’ha notata ed aiutata solo ed unicamente per la sua bellezza altrimenti,
con molta probabilità, non si sarebbe mai accorto di questa ragazzina ingenua e
spaesata; due modelle ritraenti in
tutto e per tutto la “società delle apparenze”, dove la bellezza è costruita e
artificiale ed entrambe vogliono primeggiare e vendicarsi contro una bellezza
più pura e genuina come quella di Jesse; Ruby, la truccatrice, vero personaggio
cardine della vicenda, interpretata dalla fantastica Jena Malone, un
personaggio fondamentale e scritto benissimo, raffigurante l’inquietudine più
pura che attanaglia l’animo umano e, infine, Hank, l’albergatore del sudicio e
vetusto motel di periferia in cui soggiorna Jesse, interpretato magistralmente da
Keanu Reeves, personaggio-simbolo di una cattiveria cieca ed indifferente e, a
detta dello stesso Keanu, una delle sua migliori interpretazioni, cosa anche
molto coraggiosa da parte di un attore di Hollywood così in vista che, in fin
dei conti, si presta ad interpretare uno stupratore di minorenni.
Ora passiamo al tema “scottante”
dell’intero film, la violenza e il suo utilizzo all’interno della pellicola.
Questo film, come già accennato, presenta diversi momenti e contenuti violenti,
all’apparenza molto forti ma, a mio avviso, mai decontestualizzati; è presente
indubbiamente una certa dose di violenza da “sangue che schizza” ma, per lo
più, non è questo tipo di brutalità sensazionalistica che Refn ricerca ma,
piuttosto, una violenza dal valore simbolico, a volte più animalesca, gratuita
e feroce (e suggestive sono in questo caso le premonizioni che ha Jesse come l’incontro
con un animale predatore come il ghepardo, presente in una particolare scena
del film) e altre volte più psicologica, tormentata e, a tratti, affascinante,
derivata da un’inestinguibile inquietudine che accompagna diverse persone nella
loro vita (e il personaggio della truccatrice Ruby è esemplificativo in questo
caso). Volendo andare più in profondità riguardo a questo aspetto, è impossibile non aggiungere il "pomo della discordia" di cui si è macchiata questa pellicola, ovvero una particolare scena che vede protagonista proprio Ruby, impegnata in un rapporto sessuale con un cadavere. La scena in sè mi ha sia disgustato che affascinato allo stesso tempo ma sono certo nel dire che non sia mera provocazione: tutto ciò avviene in un momento cardine della storia nel quale, dopo un brutale rifiuto che Ruby ha subito da parte dell'oggetto del suo desiderio (Jesse), la truccatrice (anche di cadaveri, non il miglior lavoro al mondo insomma) si rivaleggia sul corpo inerme a sua disposizione; come ben spiegato da Refn la scena è molto peculiare e chiarisce il concetto che quando sei rifiutato da tutti, "la morte non ti rifiuta"! Sono infine presenti alcune scene di cannibalismo, mai mostrate veramente ma viene mostrato il loro "risultato" ed esse simboleggiano appieno il concetto, presente in molte antiche tribù, che assumendo o mangiando il cuore e succhiando il sangue del nemico, si possa apprendere ed interiorizzare le qualità (in questo caso la bellezza) di quel nemico.
Il film esplora inoltre l’animo umano e
un certo tipo di valori e ideali divenuti fondamentali in questa società ma
apparentemente fasulli, vuoti, i quali, in fin dei conti, non portano a nulla,
a nessuna reale gioia o soddisfazione personale come l’arrivismo sfrenato, l’apparire
e l’esaltare un certo tipo di bellezza “costruita” e fine a sé stessa (un chiaro esempio è dato dalla contrapposizione che si genera in tutto il film che presenta luci, ambienti e personaggi "artificiali" mentre sui titoli di coda scorrono immagini di rara bellezza naturalistica) oppure
l’invidia e la volontà assoluta di primeggiare e “sbranare” i propri avversari. La pellicola, in aggiunta, è quasi totalmente al femminile e devo confessare che sto amando questo trend molto presente negli ultimi anni nel quale l'immagine della donna è presa come centro dell'azione e delle vicende e ciò accade sia in film smaccatamente più commerciali come "Rogue One", "Frozen" o "Mad Max: Fury Road", sia in film più autoriali come "Julieta", "Jackie" o "Mustang"; lasciando ai personaggi maschili un ruolo limitato e legato unicamento al concetto di figure predatrici.
Insomma, volendo concludere, come avrete ormai ben capito, questo thriller-horror schizoide e completamente pop mi ha riempito gli occhi e il cuore e mi ha fatto a lungo riflettere sulla "grandezza" della bellezza. Non è assolutamente un film vuoto come molti hanno sostenuto ma un film pieno, pieno di bellezza in tutte le sue forme che ci mostra anche tutto il dolore che può recare a chi questa bellezza non la possiede; l'opera di Refn fa inoltre un quadro su come la bellezza in tempi moderni sia relamente "tutto", quasi essenziale per vivere e soprattutto per vivere in ambienti come quelli della moda, del cinema, della rappresentazione artistica o in classi sociali come l' "altissima borghesia".
Chi non ha capito questo film, semplicemente non l'ha voluto guardare con il giusto spirito poichè non c'è nulla da comprendere, come quando si è di fronte ad un'opera d'arte, bisogna ammirarla e vedere cosa ci comunica cercando di coglierne i sottotesti.
Dunque grazie Refn per questa splendida visione e questo tipo di cinema ormai scomparso, un cinema sperimentale che parla più con le immagini che con le parole, un'idea ambiziosa di cinema, all'interno di una confezione lussureggiante!
Refn: "Con questo film voglio narrare la storia della mia "ragazza interiore" " |
Voto: 9
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